La guerra siamo noi
Ho la netta sensazione che prima di risolvere la nostra confusione interna, mettiamo parola e facciamo azioni per chiedere agli altri di risolvere la loro, a volte spingendoci fino a suggerire come. E quando c’è un conflitto come una guerra che miete vittime, anche di giovane età, ci sentiamo ancora più portati ad occuparcene. Io so di averlo fatto e di farlo ancora, ogni volta che mi ‘distraggo’ dal mio viaggio.
E proprio perché conosco questo agire, mi chiedo se quest’attenzione ai Problemi con la “P” maiuscola, a chiederne la risoluzione, quando in primis siamo noi a non poterli risolvere, non sia un allontanarsi da ciò che, al contrario, potremmo fare nel concreto, nel nostro quotidiano.
Una frase di Gandhi che amo molto e che so di non aver ancora fatto mia è “Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Per questo sento con sempre maggiore forza che risolvere i nostri personali conflitti, lasciare andare le nostre guerre, possa aiutare più di quanto pensiamo possibile, anche il resto del mondo. Inoltre ci prepara a una profondità ancora maggiore, quella di prenderci la responsabilità in noi, di qualunque guerra nel mondo; non il senso di colpa o l’arroganza di voler risolvere le guerre altrui, ma il sentire la responsabilità nei nostri cuori di quei conflitti.
E ancora, in un pensiero di unione (e non di divisione), possiamo scendere in piazza, chiedere pace, fare la cosa che riteniamo giusta... mentre scendiamo parallelamente nella piazza del nostro cuore per lasciare andare le nostre guerre personali e risolvere i conflitti, dedicandoci alle relazioni che li attivano.
Mentre scrivevo queste parole i miei figli stavano “litigando”, ovvero erano nel conflitto, difficoltà di giocare alla loro proposta con gli altri, ognuno voleva una cosa diversa, ma non volevano giocare da soli, volevano almeno uno degli altri due. E ora mentre scrivo e rileggo penso “wow, quanto è umana e anche bella questa difficoltà di voler trovare un contatto, un’unione nella propria voce”. Tornando a quel momento, mi sarei voluto alzare e suggerire una soluzione. E poi ho pensato che è tutto connesso e che era ciò di cui stavo scrivendo. Loro non hanno chiesto aiuto e stavano risolvendo i loro conflitti, cercando le relazioni, coi loro strumenti; e a volte ci vuole tempo. Non era una mia guerra, ma potevo sentire la responsabilità nel mio cuore. Così pensando che avevano tutta la mia fiducia, ho messo le cuffie per concentrarmi sulla scrittura (che era il mio “conflitto” attuale) e dopo poco le ho tolte per sentire come si stavano evolvendo. Era tornata la pace.
Non fraintendetemi, non lo scrivo per suggerire questo comportamento come soluzione, ci sono volte in cui ha senso intervenire, altre no, non c’è una soluzione scritta che va bene sempre. Sarebbe bello, ma temo non ci sarà mai un’unica regola valevole alla soluzione di ogni situazione. Lo condivido per evidenziare come sia tutto connesso.
Viviamo in costante improvvisazione, come in una scena teatrale, ci alleniamo ad adeguarci ad ogni istante, che cambia in continuazione e a volte una situazione che ci sembra uguale alla precedente, richiede un’azione da parte nostra, diametralmente opposta.
La vita forse non è facile, ma rimane meravigliosa e ci sostiene ogni volta che ci assumiamo una responsabilità e corriamo sul filo sottile del rischio.