| Tempo di Lettura 9' | Autore Giona | Cocktail consigliato Pisco Sour |
Foto di Johann Trasch su Unsplash

"Mettete un abitante delle Isole Samoa sulla sua piccola canoa nel mezzo del Pacifico, di notte, senza che sappia dove sta andando né come arrivarci. Solo le stelle gli sono amiche e non ha nessuno con cui parlare. Quell'uomo è solo. Io non ho avvertito quel tipo di solitudine."

La sua è una solitudine ignota, una solitudine capitata non voluta, la mia è una solitudine conosciuta, cercata, quasi scelta… confortevole per quanto assoluta. Ed è maledettamente assoluta sia chiaro.
Da quanto siamo in viaggio? Da 5 giorni, che in ore fanno 120 ore… 120 ore in orbita in cui costantemente ci parlano, ci chiedono di parlare, ci chiedono come stiamo per sincerarci che tutto vada bene, che tutto fili liscio.
Lo so è più irrazionale che altro, nel senso ma che davvero da laggiù sperano di poter fare qualcosa per salvarci, per tirarci fuori di qui se qualcosa andrà male? Siamo un fottuto aeroplanino di carta fatto di acciaio con dentro tutta la migliore tecnologia attuale lanciato da un gigante, da uno sperduto posto nel Texas (Houston… che nome): lo lanci e speri che vada tutto bene, di più non è che si possa poi fare.
Ma loro non lo capiscono e parlano.
Loro parlano, loro continuano a parlare: ci chiedono come stiamo, ci chiedono di mandare dati, ci fanno domande e chiedono risposte e noi rispondiamo alle domande con parole e con i dati in una conversazione sempre meno sincrona, in un dialogo sempre più distante nel tempo e nello spazio, sempre più sfilacciato in cui sento la loro ansia crescere e montare per poi spegnersi appena arriva la nostra risposta, e ricominciare a crescere appena ritardiamo di un secondo a rispondere: ma non siamo noi, è la distanza tra noi e loro.
Ma loro non lo capiscono. E continuano a chiedere e parlare.

Loro non sono Holly. Ah la mia Holly. Mi manchi sai?
I nostri silenzi sono diversi, i nostri silenzi sono intimi e hanno spessore: non chiedono una risposta, non hanno aspettative, sono la terra del nostro giardino in inverno, i nostri silenzi: non sappiamo cosa crescerà perché non piantiamo nulla noi, ma ammiriamo quello che nascerà e non forziamo la terra a partorire fiori o parole quando non è il tempo.
I nostri silenzi sono fecondi, e sono rispettosi.

E quindi ora mi godo questi 47 minuti di solitudine totale. Estrema.
Gli altri sono atterrati sulla Luna e qualcuno deve stare in orbita e girarci dietro la Luna per poi riprenderli e portarveli a casa. E quel qualcuno: sono io.
Loro si prenderanno la gloria, credo che le prime parole che pronunceranno saranno ricordate nei libri di storia per anni e anni e anni. Di me, invece, nessuno si ricorderà mai neppure il nome. Ma non mi importa, per ora mi godo questo silenzio.
Se vi chiedete perché nessuno mi parla, non è che sia solo perché è più interessante cosa fanno quei due, no è perché io ora sono dall'altra parte della luna, la parte in ombra e la luna scherma tutte le trasmissioni radio che mi possono arrivare… quindi non posso parlare con nessuno e nessuno può parlare con me. In questo momento sono l’uomo più solo sulla faccia dell’universo. Un puntino minuscolo che fluttua intorno alla luna, non dalla parte del sole e della gloria, ma dalla parte dell’ombra. L’uomo più lontano di sempre dalla terra e non posso parlare con nessuno.
E sto bene.
Non so se posso dirlo ma sto maledettamente bene.
Ho 47 minuti per me in cui non posso fare nulla, se non guardare fuori dall'oblò. Ché quando sei in missione guardi più i computer di bordo che fuori: sei immerso nell'universo e guardi i numeri su un monitor e ti perdi la meraviglia: come fare un’immersione nella barriera corallina e guardare i numeri che segnano la profondità a cui sei arrivato: sì ti sei immerso, ma ti sei perso tutto.

Ora no. Non devo fare nulla, non posso fare nulla.
Solo silenzio e magia.
Guardo fuori e non so come dire. È semplicemente stupendo.
Vedo i pianeti che galleggiano nel nulla, nel vuoto come grandissime palle di natale fluttuanti nel buio. Sono astronauta e ingegnere aerospaziale, potrei dirvi quali forze tengono in piedi quei pianeti esattamente dove sono… ma me ne dimentico e guardo l’universo come da bambino, al campeggio sul lago, guardavo le stelle in cielo rapito e mio papà mi spiegava i nomi e io li imparavo… ma più che i nomi mi piaceva la magia, quel senso di impossibile e immenso che solo il cielo è mai riuscito a darmi. E quindi fanculo i computer, fanculo Houston, e fanculo i problemi. 47 minuti in cui sono l’eremita dell’umanità me li godo per me.

Che poi voi avete mai visto un’eclissi di terra? Cazzo no, fa quasi strano dirlo. Invece io la sto vedendo ora: la mezzasfera che vedo è la terra che viene coperta dalla luna ed è uno spettacolo incredibile. Di tutti i pianeti la terra è quella che mi affascina di più… credo un po' perché è lei; come se fosse la mamma, e non sai come dirlo, ma è diversa da ogni altra donna, anche da Holly, ma questo non diteglielo. Ma poi perché la terra è l’unico pianeta che splende. Si lo so è perché c’è l’acqua e l’atmosfera… questa è la scienza. Ma ora io sono un bambino e per me la terra splende nel buio dell’universo come la lucina che mi metteva il papà in stanza, quella a forma di Mickey Mouse… e più che essere bella era splendente nel buio.

Sono qui, sono da solo, sono l’essere più solo mai stato nel mondo, e la cosa, se ci penso, mi mette i brividi. Un po' mi fa paura, come vivere con un cordone ombelicale che stai strapazzando un po' e hai paura che si rompa… e allora lo nutro di ricordi, sì lo so è irrazionale, ma mi piace, allora penso a te. Holly.
Mi manchi Holly. Mi manchi, ma col sorriso: mi manca come lavi i piatti con i guanti di plastica e il vapore ti increspa la frangetta, mi manca come giri il cucchiaino nella tazza di tè anche se non metti lo zucchero e non capirò mai perché lo fai, mi manca quando mi chiedi quale smalto mettere tra due che per me sono identici… allora ne indico uno a caso e tu lo metti solo per farmi piacere e sai che ho scelto a caso, ma lo metti lo stesso, mi mancano le sere calde d’estate in cui bevevamo Pisco Sour nel tramonto sul patio, e mi manca come mi tiri le coperte la notte poi, e mi sveglio al freddo e sorrido al buio.
Mi manchi.
Ma questi 47 minuti stanno finendo e se tutto è andato bene vado giù recupero quei due pazzi che giocano a fare gli eroi e poi torno da te… ok?

«Comander Collins now the connections are back, everything fine? Something to say?»

«Yes: tell my wife I love her very much, she knows.»

 

In memoria di Michel Collins – l’uomo più lontano dalla Terra.
Perché a volte ci sentiamo come lui.
E, a volte, vorremmo essere là.

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