BarAbatJour
Da lunedì 11 luglio a sabato 1 ottobre 2022
sono usciti 36 racconti, raccolti in questa rubrica online: BarAbatJour
Nati nel percorso di Scrittura Scenica a.a. 2021/22
frequentato da Sara, Giona e Steeeve.
Buona lettura!

Chinotto
È una struttura bassa ad ospitare il bar dell’oratorio. La parete frontale è colorata principalmente di blu e bianco, la base perfetta per i murales che la riempiono di altri colori.
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Bianca era alta e bionda.
Aveva una carnagione intonata al suo nome, un perfetto color latte e un carattere dolce e gentile.
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“Le tre del mattino” si chiama così il mio bar.

Elena si sveglia, ma non si alza. Vorrebbe restare ancora un altro po’ a dormire, dimenticarsi di esistere e invece la vita le ricorda che deve lavorare, altrimenti come lo paga l’affitto questo mese? E la vacanza a Barcellona?
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Carla cammina per la strada, si nota da lontano che è furiosa, ha il passo veloce e parla tra se, la gente che la incrocia si affretta a farsi da parte, perché è evidente che è sul punto di esplodere...
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"Mettete un abitante delle Isole Samoa sulla sua piccola canoa nel mezzo del Pacifico, di notte, senza che sappia dove sta andando né come arrivarci. Solo le stelle gli sono amiche e non ha nessuno con cui parlare. Quell'uomo è solo. Io non ho avvertito quel tipo di solitudine."
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Ci risiamo.
Sono le 18:30 e Mauro non è ancora uscito dal lavoro come si era ripromesso stamattina.
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Siamo seduti al tavolino del mio bar a San Francisco, davanti a me una bionda alta almeno uno e settantacinque. Mi guarda dall'alto in basso. Ma non lo fa apposta, con me viene naturale.
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Mi fermo.
Sono quasi arrivato a casa dopo circa 80Km in bici, ne mancherebbero pochi, forse 4 o 5 che dopo 80 sono quasi nulla. Ma mi fermo.
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Oggi mi sono organizzato con Paolo per andare a lavorare in un bar, anzi non in un bar, al mio bar. Entrambi lavoriamo da casa da 3 anni, ma facciamo lavori diversi. Io sono un web designer e lui correttore di bozze. Ci siamo conosciuti circa 15 anni fa grazie a un nostro amico in comune con cui ogni tanto andiamo a giocare a calcetto.
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Lo vidi un giorno, al bancone di questo bar, proprio dove ora sei seduto tu.
Era bello, negli anni '80 lo avrebbero definito bello e dannato.
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Io sono qui al bar tutto il giorno.
Non mi muovo molto e non riesco a vedere tutto il locale. Ma da qui vedo una cosa che all'apparenza sembra piccola e insignificante ovvero il bancone dove mettono i bicchieri prima di lavarli.
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5 km, posso farli.
Prova a convincersi mentre inizia a correre. Si concentra sul respiro, prende l’aria e la butta fuori, prende l’aria e la butta fuori, cerca di pensare solo a questo.
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«Non ci credo!
Ma sei tu?»
«No, guardi, mi scambia sicuramente con qualcun altro.»
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Sono stanco… lo sono da un bel po' di tempo, ma sono così stanco, ora, che lo dico pure.
Sono stanco di rispondere «sì sì… tutto bene» a chi mi chiede come sto, che so che di massima non gli interessa per nulla sapere come stai e si aspetta solo quella come risposta, perché è più facile per tutti, me compreso, ma sono stanco di questa ipocrisia sociale.
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Ho paura. Temo di dimenticare tutto.
Ho ripetuto il testo diecimila volte, ma ora non so più niente.
Sì certo, a casa è tutto più facile. Come dicono nei quiz televisivi “Da casa è più facile”.
Eh, grazie tante. Da casa le sai tutte, otto volte su dieci la parola la indovini.
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Non era la prima volta in cui si trovava ad affrontare una battaglia. La sua era stata ed era tuttora una vita piena di combattimenti e scontri. Non sempre erano guerre sanguinarie, potevano essere schermaglie amorose, piccoli scontri in ufficio, partite di Tennis, scalate al lavoro, il problema era sempre lei.
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Tempo fa uscii con questa donna, grassa.
Ecco lo so non è molto politically correct dirlo, ma se ci penso ora ecco mi viene da ricordarmi solo questo: era grassa.
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Oggi glielo dico. Devo dirglielo che non ce la faccio, che non lo voglio.
Questo figlio o figlia, non posso tenerlo. Non sono pronta e forse non lo sarò mai, ma sicuro non lo sono ora. Io non ce la faccio a diventare mamma. Non me la sento di prendermi questa responsabilità, di occuparmi di un altro essere umano. Non posso, anzi, non è che non posso, o forse anche, come faccio a saperlo, è che proprio non voglio.
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Sì, sì, era proprio qui.
Qui, tantissimi anni fa, dove ora sorge questo monumentale e bruttissimo ospedale in cemento armato, c’era casa tua, e di fronte, più o meno dove adesso ci sono le camere mortuarie, il muro su cui con una bomboletta spray, quasi sicuramente una Vigor visto che in quegli anni usavo solo quelle per i miei murales, scrissi “IO E TE X SEMPRE INSIEME”, tutto maiuscolo.
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Facciamo che…
Non so le ultime parole che ti ho detto o che mi hai detto.
Se ci penso ora, proprio non mi vengono in mente…
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Eccomi qua, di nuovo.
Finalmente mi hanno messo anche il naso e posso respirare.
‘Sti cazzo di bambini, ogni anno è sempre la stessa storia.
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Questa mattina, non so perché, mi è venuta in mente la sigla di kiss me Licia e mi sono accorto di non ricordarmi molto, non della sigla, di cui ho in mente l'inizio, ma della serie.
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“Enjoy the moment!”… era il 2006 quando questa espressione mi si è attaccata addosso.
Ero in Norvegia in Erasums, una delle esperienze più con la E maiuscola che io abbia mai fatto.
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L’unica cosa che le restava da fare quella notte era far sparire il cadavere del suo migliore amico.
Avevano programmato quel viaggio da un paio di mesi, doveva essere il loro viaggio premio per la fine di un anno passato principalmente a lavorare e a spostarsi per il Paese per motivi famigliari.
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L’odore la colpì come un pugno che arrivava nello stesso momento sul naso e nello stomaco.
Era odore di sesso, ma anche di corpi non lavati da una parte e corpi profumati dall'altra, che si mischiavano insieme contaminandosi.
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Domenica a volte mi capita di accompagnare la mia vicina di casa a fare la spesa o a messa.
La accompagno sia per essere gentile, ma più per sentire parlare di mia nonna e di una Milano che non c’è più e per scrutare un po' il suo modo di fare che a me affascina sempre.
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«FERMI TUTTI, QUESTA È UNA RAPINAAA!»
L’ho detto, sono entrata in questo bar e ho detto questa frase. Urlando e provando a spaventare la gente.
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Quando camminando in quel parco trovai un pacchetto di sigarette per terra e lo raccolsi con il solo intento di buttarlo in un cestino, non sapevo che quel gesto avrebbe cambiato la mia vita.
Mi chinai lentamente a causa del mal di schiena che mi portavo dietro da un incidente fatto in scooter vent'anni prima, mentre nel contempo mentalmente maledivo chi lo aveva gettato per terra.
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C’è tanta gente che passa qua.
E io li osservo tutti.
Non sono pagato per questo, direbbe il mio capo, ma tanto non mi paga molto, quindi quando ho un momento libero io osservo. Almeno questo.
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È il mio posto preferito, ho chiamato apposta una settimana fa per prenotare un tavolino appoggiato alla colonna in modo da essere un po’ nascosto, defilato.
Così seduto vedo gli altri, ma gli altri, non tutti, riescono a vedermi.
È quello che desidero, avere il controllo e non essere colto di sorpresa.
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Mi guarda con la fretta negli occhi.
È veloce quando cammina e quando parla, ha il controllo: controllo sul menù, controllo sui clienti, controllo sui tavoli.
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Entro nel locale e l’atmosfera già mi piace.
È un centro sociale, ma forse io avevo un’idea dei miei tempi del liceo dei centri sociali ovvero sporchi, fumosi, angusti e…incasinati. Che ci stava a 18 anni, ora un pelo meno.
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Prendo il panno umido e lo passo sul bancone in legno. Non so quante volte al giorno ripeto questo gesto, tante, troppe. Dovrei appendere al muro una specie di tabellone, come quelli delle partite di basket, che segni un punto a ogni passata. Un punto per quando prima di passare il panno mi ricordo di sciacquarlo, due quando riesco a fare tutto entro dieci secondi, velocissimo, e tre, tre non lo so. Dopo ci penso.
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Tu che sei un barista di storie ne devi aver sentite molte no?
Voi baristi siete come i preti e gli psicologi.
Lascia che ti racconti la mia.
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![[IMMAGINE] Weekend - IPA](/images/BEAT/01.post.jpg)
«Quand'è l’ultima volta che hai fatto una cosa per la prima volta?»
Questa frase, che pare quasi un gioco di parole, la metteva su facebook sempre una mia amica, Costanza R., ogni volta che andava in un posto nuovo.
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