| Tempo di Lettura 9' | Autore Giona | Cocktail consigliato Vermouth rosso con vino bianco |
Foto di Catalin Stefan da Pixabay

Domenica a volte mi capita di accompagnare la mia vicina di casa a fare la spesa o a messa.

La accompagno sia per essere gentile, ma più per sentire parlare di mia nonna e di una Milano che non c’è più e per scrutare un po' il suo modo di fare che a me affascina sempre.

La signora Cattaneo ha circa l’età che avrebbe mia nonna, sono entrate nel palazzo, dove ora abito io, appena costruito, da giovani sposine.

Nei suoi discorsi mi racconta dei suoi tempi e indirettamente di mia nonna che io non ho mai veramente conosciuto bene perché da piccolo i miei non mi portavano mai da lei e lei poco veniva da noi. Starei ore ad ascoltare la signora Cattaneo forse anche per recuperare un po' di quel tempo che ho perso con la mia vera nonna.

Mi racconta di quando erano appena entrate nel palazzo: davanti a casa c’erano i prati e i pastori facevano la transumanza ed era normale veder nascere gli agnelli a primavera a Milano o di quando d’inverno c’era così tanta nebbia che la 90/91 non la vedevi arrivare: sentivi solo il rumore degli pneumatici in lontananza e il suono del clacson che il conducente suonava apposta per annunciarsi ed evitare incidenti, di quando non c’era l’Esselunga di via Albani (che nel nostro quartiere è un’istituzione), ma i piccoli negozi in cui il ferramenta non era il ferramenta ma era “il Meazza” e l’elettricista era “Il Comoretto” ci si conosceva tutti per nome e si era parte di una comunità un po' eroica.

Si era appena usciti dalla guerra e quindi era si “tutto da ricostruire” come si dice sempre, ma, come dice lei era “tutto da inventare” non c’era nulla o davvero poco e quindi ogni cosa era importante.

Mi racconta per esempio dei modi in cui lei sapeva girare e rigirare le maniche e le fodere delle giacche per farle durare di più, di come, quando capitava di potersi permettere la carne, prendeva un cappone e lo puliva lei così poteva cucinare tutto, facendo con le interiora e la pelle delle ali un salamino di fegato, che detta così fa un po' senso, ma lei lo dice con degli occhi sognanti che pensi che dev'essere stata una leccornia, mi racconta di come il suo viaggio di nozze è stato un solo giorno a Ravenna e pioveva pure, ma “che bello il treno Giona”.

Mi racconta e mi fa venire voglia di abbracciarla, ma è troppo fragile: mi sembra fatta di vetro e di ricordi e ho paura di infrangere entrambi con la mia goffa presenza e mi fermo sempre e la abbraccio nei miei pensieri. Almeno lì.

Mi piace sentirla parlare e vedere nei suoi occhi quella Milano e vedere nei miei l’altra Milano, quella vera, attuale che sta lì davanti… e ho smesso di giudicarla sbagliata solo perché non è così romantica come quel passato che lei mi descrive.

Sì perché la signora Cattaneo mi descrive tutto il passato, anche quello che non c’è più e non era così sognante: le botte dei mariti alle mogli quando non tenevano pulita la casa, gli schiaffi dati ai bambini se parlavano a tavola interrompendo il capo famiglia, le economie domestiche fatte di tanti sacrifici, spesso sciolti poi nell'alcol, la sera al bar, dai mariti, le rinunce per tutto, che non c’erano mai soldi, i funerali dei bambini, sempre troppi, i funerali degli adulti che “se l’è portato via una brutta malattia” e non si sapeva altro, le botte in piazza per i diversi credo politici, che ora fa strano.  

Mi piace vedere le luci e le ombre, per non attaccarmi troppo alle prime o nascondermi nelle seconde in un passato idealizzato.

Quello che mi piace di più, però, parlando con lei, sono due cose: la sorpresa e la lentezza.

La signora Cattaneo ha visto la guerra… non credo che serva molto altro a dire cosa ha visto, e a cosa è preparata.

Ma, girando per le corsie dell'Esselunga, appena vede qualcosa di nuovo o trova lì quello che cerca ha quella luce negli occhi di sorpresa felice che mi affascina sempre. Mi ricorda quando mi ha detto che lei era felice a Natale perché riceveva i mandarini. Al che io le ho chiesto “ok e poi” e lei “no i mandarini erano il nostro regalo… che buoni e che gioia” ecco la signora Cattaneo ha quella gioia di scoperta negli occhi a ogni angolo della vita: e dove io vedo una confezione di pelati o dei mandarini… lei non so cosa veda, ma quello che vede la fa sorridere, e io mi sento sia stupido che vecchio, perché non riesco a far parte di quella magia.

Sì tra i due, il vecchio sono io.

 

L’altra cosa che mi affascina della signora Cattaneo è la sua lentezza, però lentezza sembra negativo… non saprei come definirla, forse la migliore definizione è eleganza nei gesti. La signora Cattaneo è così: elegante, ma se dico elegante uno magari pensa a un ballerino sul palco, e ci sta come immagine, ma è anche un filo “facile” cioè in quel momento ci sta essere elegante, no? Ecco la signora Cattaneo è elegante nei gesti piccoli: come piegare il sacchetto della spesa e metterlo in borsa, sistemare con cura la spesa nella credenza, aprire il portafoglio per dare il resto in cassa, apparecchiare la tavola umile come se fosse un ricevimento di gala. La signora Cattaneo è elegante nel vivere.

L’altro giorno ho ammirato con quanta cura ha piegato un fazzoletto: l’ha aperto davanti a lei, l’ha posato sulla tavola, poi l’ha disteso con le mani per tutta la lunghezza e ha iniziato a piegarlo.

A ogni piega io non vedevo un fazzoletto piegato, ma una mamma che sistema la coperta al figlio prima di andare a letto: a ogni piega che faceva dava dei colpetti sul tessuto per uniformare le pieghe e non farlo sgualcire… non lo faceva con pedanteria o eccessiva precisione, ma con la bellezza delle cose fatte bene.

Mi piace osservarla perché, guardandola, mi aiuta a capire quanta della mia fretta è giustificata e quanta è solo una fretta indotta da Milano, dal vivere sempre a 100km all'ora, da nulla e da tutto.

 

Mi sono messo al pc e non sapevo cosa scrivere, poi ho alzato gli occhi al cielo e ho pensato che il mio soffitto è il pavimento della signora Cattaneo e mi è venuto di scrivere di lei.

Non c’è una chiusura ad effetto.

La storia finisce qui.

Non sempre le storie devono stupire o insegnare.

A volte vogliono solo essere scritte.

E quindi questa è, alla fine, la fine senza fine.

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