| Tempo di Lettura 12' | Autore Giona | Da bere Guinness |
Foto di Erik Jacobson su Unsplash

Io sono qui al bar tutto il giorno.
Non mi muovo molto e non riesco a vedere tutto il locale. Ma da qui vedo una cosa che all'apparenza sembra piccola e insignificante ovvero il bancone dove mettono i bicchieri prima di lavarli.

Lo so direte “e chi se ne frega” cioè un bicchiere usato che sarà mai? È qui che vi sbagliate. Un bicchiere usato dice molto delle persone, è la loro impronta sul vetro… è difficile vederla forse, ma se riesci ti svela molto.

Tipo, lì in prima fila c’è il bicchiere di Simona. Lo riconoscerei tra mille quel bicchiere, come riconoscerei tra mille la sua voce.
Simona, infatti, non appoggia le labbra solo sul bordo, come fanno tutti. No, lei spesso appoggia le labbra anche a metà bicchiere, dove c’è quella pancia quel rigonfiamento di vetro, avete presente?
Se le chiedi perché lo fa ti dirà che d’estate la birra le raffredda le labbra e d’inverno il the le riscalda il viso.
Lei sa andare oltre alle cose che gli altri vedono, sa trovare altri sensi se capite cosa voglio dire.
Quindi lei fa così: bacia il bicchiere mentre sta con qualcuno. Mentre qualcuno le parla, lei lo osserva da dietro quella barriera trasparente e fragile, su cui appoggia delicata le labbra e a volte, mi pare, un po' ci parla anche col bicchiere, come confidandogli cose troppo fragili per diventare parole all'orecchio dell’altro.
E non capisco mai se è difesa, amore, protezione o intenzione… forse è tutte le cose insieme.

Poi c’è Pietro. Non l’ho ancora visto, ma l’ho sentito nel locale e puoi stare certo che quel bicchiere è suo. Pietro ordina sempre e solo Tennent’s Super e sempre almeno due, se non di più. Pietro ha un modo di prendere in mano il bicchiere che è forte, deciso, direi possessivo. I suoi bicchieri sono sempre pieni di ditate, di impronte, di aloni di unto (credo che faccia il meccanico), di tracce di sudore… lui un bicchiere lo deve possedere, lo deve afferrare, bisogna capire che è suo e di nessun altro. Quando arrivano qui sono i bicchieri più opachi, quasi stropicciati se si può dire di un bicchiere.
Non penso che lo faccia con cattiveria, ma alla fine l’effetto è quello: si attacca alla vita con così tanta forza che quella stessa forza gilela rovina la vita.

Poi c’è Mauro, il ragioniere. Non so se sia ragioniere, ma da come usa il bicchiere si direbbe che almeno preciso è. I suoi bicchieri sono toccati solo in due punti, disegnati da indice e pollice, sempre gli stessi due punti. Può passare due ore al bar con lo stesso bicchiere davanti (se magari c’è una partita dell’Inter in Champions viene spesso al bar), ma puoi stare certo che lui berrà solo un bicchiere di birra e che, a fine serata, sarà stato toccato sempre negli stessi due punti: indice e pollice e basta. Che non so come faccia ad azzeccare sempre quei due punti. Ma lui ci riesce. Mi sembra che questo, toccare il meno possibile il bicchiere, sia un suo modo per farsi toccare il meno possibile, per far sì che nessuno possa sfiorarlo, chiedergli conto o interessarsi a lui.
Lui tratta il bicchiere come vorrebbe essere trattato, forse perché si sente ugualmente fragile in questo locale.

Uno dei bicchieri che preferisco è quello di Roberta ed è semplice dire perché: lei mette sempre un rossetto diverso ogni giorno e non solo rosso o porpora, ma anche giallo, blu, verde, viola. Mi piace vedere come tornerà il suo bicchiere di “Blanche De Namur” (prende sempre e solo la blanche lei) e che virgola di colore daranno le sue labbra nel lavello dei bicchieri.

Poi mi piacciono molto i bicchieri che tengono in mano i bambini piccoli. Quando vogliono un po' atteggiarsi a grandi, ma non ci riescono ancora e allora prendono il bicchiere con due mani e se lo portano alla bocca rovesciando spesso mezzo contenuto sulla maglietta. Quando tornano quei bicchieri a me sembrano sempre la coppa del mondo alzata da Totti a due mani nel cielo di Berlino, e lo so che è solo un bicchiere. Dura poco quella fase ma è bellissima.

Poi ci sono i bicchieri delle lunghe chiacchierate. Li riconosci subito perché hanno una circonferenza perfetta, tatuata a una particolare altezza: lì è il punto dove lui o lei lo hanno preso e girato e rigirato e rigirato ancora davanti a sé mentre ascoltavano o parlavano. Il più delle volte mentre ascoltavano però. Questa corona circolare scorre perfettamente sul bicchiere, pare una meridiana di un planisfero, con sotto un mare d’ambra e sopra il vuoto in cui i pensieri di chi ascolta si perdono e si chiedono perché, e quando, quel vuoto è diventato mancanza e non spazio per stare insieme, vicini. Sono bicchieri un po' tristi, lo so. Ma ci sono anche loro.

Poi ci sono i bicchieri di chi la vita vuole bersela tutta, d’un fiato, senza pause, senza paure, senza chiedere posso, senza chiedere il permesso, che già ordinare gli pare eccessivo e se potessero verrebbero a spillarsela da soli la birra. Li riconosci subito: sono bicchieri con poche ditate, sicure ma non bloccate, non sono ragionieri loro, no loro afferrano la vita e la bevono d’un fiato, toh massimo due… mai di più. “Poi la birra si scalda” li ho sentiti dire, ma so che non è questo il punto. Il fatto è che fermi non ci riescono a stare e possono spiegarti perché, ma anche spiegarti è perdere tempo per loro e allora dicono quello che vuoi sentirti dire e passano a un altro bicchiere o direttamente a un altro locale.

Poi c’è Chiara. Suoi sono i bicchieri che preferisco.
Arriva spesso a fine giornata. Dopo il lavoro. Prende una Guinness e si mette a leggere un libro al bancone da cui la vedo bene. Una volta, all'ennesimo commento sessista su perché una donna beveva birra da sola e perché una Guinness ha detto, “perché mi piace” senza aggiungere altro. Poi riprendendo a leggere ha detto, a bassa voce che ho sentito solo io, “e perché mi ricorda la spuma del mare a Calais, la casa nel nonno e mamma” e una piccola lacrima le è scesa sulla guancia e l’ha asciugata col dorso della mano libera.
I suoi bicchieri sono quelli che preferisco perché lei ci trasferisce dentro la sua giornata o il libro che sta leggendo: a volte se il libro la prende molto quasi non lo tocca il bicchiere, lo lascia lì, testimone silenzioso della sua lettura, altre se la giornata è stata difficile o stressante continua a muoverlo affianco al libro, a spostarlo di qui, di lì come alla ricerca di un posto in cui sia a suo agio, e non so mai se lei o il bicchiere. Altre giornate si vede che è sulle sue, e quindi legge un po' poi afferra il bicchiere per un piccolo sorso e resta lì minuti, che diventano mezzore, col bicchiere davanti, a guardare il muro di fronte, o poco a destra, la finestra che dà sulla via, e si perde in pensieri solo suoi che da qui non posso sentire. Altre ancora è leggera dentro e quindi legge un po' e beve felice lunghi sorsi, poi si immerge ancora a capofitto e non si stacca dà lì che per riemergere, come a prendere fiato, con una lunga sorsata e sorride sotto i baffi di schiuma che le si formano. Altre il libro è un pretesto: lo posa chiuso affianco al bicchiere, guarda dentro la schiuma fitta della Guinness che non ti fa vedere la birra sotto e mi pare che vorrebbe anche lei avere una simile coperta per nascondersi e non essere trovata.

Sono tutti uguali i bicchieri che lasciano questo bancone e sono tutti diversi i bicchieri che qui ci ritornano. Ognuno ha dentro l’impronta di chi l’ha abbracciato, baciato, stretto, allontanato, usato come scudo o come lancia, visto come amico o avversario, testimone di lunghi silenzi o di chiacchierate irripetibili.
Poi però tutti, ognuno con i suoi drammi, le sue gioie, i suoi timori e le sue speranze… finiscono tutti in lavastoviglie e si risvegliano dimenticandosi chi sono stati e ricominciano tutto da capo.
Come gli uomini e le donne che li hanno accompagnati per poche ore.

Poi, sì poi ci sono io. Io sono un bicchiere, o forse lo ero. Mi sono sbeccato qualche mese fa e mi hanno messo qui sul bancone, davanti alla cassa, con davanti un cartello per le mance per il barista. Pian piano mi sto riempiendo, molto più piano di quello che sperava il barista mi sa, ma io sono contento perché per un po' per me non ci sarà la lavastoviglie che mi cancellerà i ricordi e allora posso continuare a guardare questo piccolo angolo di mondo e a ricordarlo.

Perché in un bar si viene per dimenticare.
Ma è nel ricordare di sé che sta il segreto.

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