Eccomi qua, di nuovo.
Finalmente mi hanno messo anche il naso e posso respirare.
‘Sti cazzo di bambini, ogni anno è sempre la stessa storia.
Nevica e loro impazziscono dalla gioia, come se la neve fosse la cosa più bella al mondo. Li vedo i loro occhi che brillano, per forza, mi stanno addosso, come potrei non notarli?
Lo so, so che dovrei essergli grato, vi sento voi moralisti bisbigliare i vostri discorsi di circostanza, ma è inutile, non ci riesco. Ogni anno mi ritrovo sempre nello stesso posto, in questo cortile e ritrovo tutto come l'avevo lasciato. Perché mi torturano in questo modo? Per loro io sono la novità, ma per me loro no. Questo posto, ad esempio, come fa a non cambiare mai? Perché siete così poco fantasiosi?
Almeno a me se va bene, un anno respiro con la carota, l’altro con una conchiglia, una volta con un ramoscello, insomma, dipendo dai vostri gusti estetici. Non posso nemmeno decidere come vestirmi, fate tutto voi. La mia vita è nelle vostre mani.
Quest’anno non è ancora arrivato Giulio. Il mio migliore amico, lui non è ancora tornato. Mi manca, con lui qui mi sento meno solo. Il nostro momento preferito è la sera quando le luci si accendono e i palazzi si illuminano ed è come se prendessero vita. Come quando a noi mettono il naso e cominciamo a respirare, lo stesso accade per le case: le luci defibrillano le facciate dei palazzi.
Io e Giulio quando arriva il buio abbiamo l’abitudine di cercarci un posticino più riparato dove metterci a commentare la vostra vita. Sì, la vostra, soprattutto. La sera guardate poco dalla finestra, anzi, quasi mai. Siamo spettatori, e voi ogni giorno recitate per noi senza saperlo. Vi prendiamo in giro, ci facciamo di quelle risate che voi non potete sentire perché siete barricati in casa, occupati nelle vostre attività e ignari di quel che succede fuori.
Una sera però, Maria, la ragazza del quarto piano del palazzo di fronte, ci stava per scoprire. Io e Giulio avevamo deciso di provare a muoverci, volevamo andare sotto i portici per stare un po’ riparati, per poi tornare all'alba al posto assegnatoci. Erano più o meno le 22 e all'improvviso Maria ha guardato fuori, verso di noi, mentre camminavamo, e abbiamo colto la sua espressione stupefatta.
Subito dopo un ragazzo le si è avvicinato e lei indicava verso di noi, tutta agitata.
«Guarda, hai visto??? Si sono mossi Luca, hai visto? Oddio mio! Li ho visti Luca!! Non sto scherzando!»
«Maria, ma che dici? »
«I pupazzi di neve si muovono!!»
Il ragazzo, che l’anno prima non c’era, poco dopo se n'è andato scuotendo la testa e lei è rimasta lì ancora un altro po’ con quella sua espressione piena di meraviglia.
«Giulio porca neve stai fermo, ci sta guardando.»
«Non ce la faccio Carlo, non ce la faccio, mi sto sciogliendo.»
«Ci sono meno sei gradi, mi spieghi come fai a scioglierti?»
«Lo sai che ho un debole per lei.»
«Ancora non ti è passata, eh?»
«Eh…»
«Sono passati vent’anni, Giulio, vent’anni. E lei ora è lì con un altro, capito? Un altro, un uomo. Uno con uno scheletro, ‘na cassa toracica, due polmoni, due gambe, due braccia, un pene, e tutta quella roba lì che c’hanno loro…»
«Vuoi dire che io non ho tutto questo?»
«No, ad esempio, il pene non ce l’hai. Hai notato? Per loro, siamo asessuati, siamo degli eunuchi. Ci troviamo qui solo per addobbare i loro cortili, fargli sentire la magia del Natale, urrà! Siamo esseri inermi, esangui, inetti, passivi, freddi. Inutili.»
«È ancora lì? Se alzo lo sguardo è la fine.»
«No, è andata via.»
«Ok, ma chi cazzo era quello?»
«Stai calmo, non agitarti. Lascia perdere. Come se in questi vent'anni non l’avessi mai vista con un altro dai, è normale che si faccia una vita, no?»
«Già… ricordo ancora quando l’ho vista per la prima volta.»
«Stai bono, lascia perdere la malinconia, lo sai che ti fa male, che poi vai in loop e inizi a perdere i pezzi prima del dovuto e non ho voglia di restare solo per tutte le festività.»
«Tu non capisci, sei sempre così freddo.»
«Sono un pupazzo di neve, Giulio, e pure tu.»
«Tu non puoi capirmi, hai scelto la strada della solitudine, hai scelto di non vivere.»
«Ma io non scelgo niente, esattamente come te. Cosa scegliamo noi? Spiegamelo. Non possiamo nemmeno scegliere che naso avere.»
«Beh, ma se ci pensi questo nemmeno loro. Cioè non è che si scelgono il naso, è la genetica a decidere.»
«Ma sentilo, nomina pure la genetica ora. E da quandìè che te ne intendi di genetica?»
«Ma niente, sentivo la signora Antonia parlare con Eugenia e lamentarsi della non bellezza del nuovo arrivato e ad un certo punto hanno nominato la genetica, boh, robe loro, robe di scienza.»
«Mah.»
«Che facciamo?»
«Ora stiamo qua, prima che Maria torni alla finestra e la mandino al manicomio e puoi dirle addio prima del tempo.»
«Ok.»
Oggi, invece, sono di nuovo qui, è un pomeriggio di fine dicembre, mi stavo per appisolare quando ad un certo punto ho sentito la sua voce. È tornato, questo inverno ci hanno pensato le due adolescenti del secondo piano. Eccolo, il mio amico Giulio.
Ci siamo guardati. Stiamo trattenendo le risate perché quest’anno abbiamo una novità, abbiamo un pene. Credo che abbiano un po’ sdoganato l’educazione sessuale, d'altronde siamo nel 2030, qualche passo evolutivo dovevano farlo ‘sti qua. Ci stiamo trattenendo per non scoppiare a ridere e questo sforzo muscolare ci fa cadere qualche pezzo, ma le due ragazze se ne accorgono tempestivamente e corrono a ripararci. Sono due pestifere ma premurose, devo riconoscerlo.
Si è fatta sera, Maria è sul divano, questa volta senza più l’uomo dell’anno prima, e all’improvviso sente delle risate fragorose. Curiosa corre alla finestra per capire il motivo di quell'ilarità improvvisa, si guarda intorno e non vede persone, ma i soliti due pupazzi di neve, sempre loro, ma questa volta con qualcosa di diverso. Allora quella fragorosa risata diventa anche la sua perché si accorge che uno dei due ha il pene, all'altro deve essere caduto a terra.
«Sei un coglione Carlo, un coglione. Mi spieghi perché mi hai tolto la mia virilità? Ora cosa penserà di me?»
«Giulio, Giulio porca neve stai fermo, sta arrivando.»
«Cosa cazzo stai dicendo Carlo, ti sciolgo se non la finisci.»
«Stai calmo, sta venendo verso di noi.»
«Oddio santo. Ora cosa le dico?»
«Per lei sei un pupazzo Giulio, non devi dire niente.»
Maria è scesa in cortile, sentiva che doveva farlo.
Si avvicina a Giulio e lo guarda, lo esamina come se fosse vivo, come se qualcosa di invisibile le facesse percepire qualcosa di estremamente reale.
Raccoglie il broccolo e lo sistema, glielo mette proprio lì, sotto il ventre. Lo accarezza, ride e si butta nella neve.
Carlo sta perdendo i pezzi, la risata questa volta è esplosiva, è una scossa di terremoto non prevista.
Giulio è rimasto in piedi, anche il broccolo. Deve essere l’emozione.
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