| Tempo di Lettura 9' | Autore Steeeve | Da bere Screwdriver |
Foto di Cory Bjork su Unsplash

Non era la prima volta in cui si trovava ad affrontare una battaglia. La sua era stata ed era tuttora una vita piena di combattimenti e scontri. Non sempre erano guerre sanguinarie, potevano essere schermaglie amorose, piccoli scontri in ufficio, partite di Tennis, scalate al lavoro, il problema era sempre lei.

Perché per Catherine, padre di un paesino della bassa modenese e madre scozzese da cui aveva ereditato capelli rossi, lentiggini e un carattere esplosivo, tutto era una sfida, una battaglia di una guerra più lunga, uno scontro.

Lei non voleva perdere. Mai!

E non sapeva perdere: da un intero mese aveva smesso di parlare con le sue tre migliori amiche perché l’avevano battuta a Risiko, insisteva che si fossero accordate per farla perdere, doveva conquistare Asia ed Africa, ma non riusciva a prendere a Rita quella maledetta Kamchatka. Nel frattempo le altre due vipere, Sonia e Rosa, continuavano ad attaccarla alle spalle sottraendole territori.

Alla fine la Kamchatka, accanendosi con la cocciutaggine che le era propria, l’aveva presa ma contemporaneamente aveva perso altri dodici territori.

In quel mentre Sonia, con la flemma che le derivava da chi da una vita aveva sempre messo i piaceri del vino al primo posto, aveva conquistato 24 territori, ad ogni nuova conquista voleva addirittura festeggiare con un brindisi. Quella stronza!
E l’aveva battuta. Sicuramente solo perché aveva avuto un obiettivo facilissimo al contrario del suo. E nessuna delle altre stranamente aveva attaccato Sonia.
Si erano di certo messe d’accordo per farla perdere.

Per trenta giorni esatti non aveva risposto ai messaggi whatsapp delle amiche che ogni giorno la salutavano con una foto della Kamchatka, sempre la stessa, inviata contemporaneamente da tutte e tre, per poi cominciare a parlare tra di loro ignorandola completamente e sapendo che non si sarebbe comunque persa una riga.

Aveva infine dovuto cedere quando avevano cominciato a scrivere di una cena pacificatrice. A tutto avrebbe potuto rinunciare, sarebbe potuta andare avanti ancora mesi prima di perdonarle, ma non avrebbe mai detto di no ad una cena a casa di Rosa.

E loro lo sapevano bene, era il loro modo di dire che era giunto il momento di sotterrare l’ascia di guerra.

Rosa, cuoca eccezionale, era famosa per la sua minestra di lenticchie, un piatto tipico Umbro dall'apparenza semplice, la cui segreta ricetta veniva tramandata, solamente per via orale, nella sua famiglia, da generazioni. 

Rosa l’aveva appresa direttamente dalla nonna paterna, donna dalle mille malattie, quasi tutte indimostrabili e immaginarie, scelte apposta per non alzare un dito in casa. Le più ricorrenti erano: emicranie di sei tipi diversi, mal di schiena, mal di denti, attacchi di sciatica, artriti reumatoidi e non, febbri ricorrenti, cardiopatie, pressione alta o pressione bassa; ma tutto spariva non appena nonna Santina metteva piede in cucina, quello era il suo regno e qui nessuno poteva aiutarla o addirittura, impensabilmente, sostituirla.

Anche alla madre di Rosa era interdetta la cucina perché secondo la nonna non aveva il tocco. Quindi la minestra di lenticchie e altre mille ricette di famiglia rischiavano di perdersi. Questo fino a che non apparve Rosa, quinta di sei figli. Non appena la nonna la vide disse «è lei che aspettavo» e nei successivi 20 anni la riempì di nozioni culinarie e malattie immaginarie per farne la sua fotocopia.

Nessuna di loro ne sapeva gli ingredienti, l’unica cosa che avevano scoperto è che doveva bollire a fuoco basso per quasi 24 ore e che periodicamente Rosa aggiungeva una ben precisa quantità d’acqua condita con misteriose spezie, che rendeva unica e incredibile per essere solo una minestra fatta con un legume così povero.

Il programma della serata prevedeva i soliti cinque o sei antipasti, la famosa minestra, un primo asciutto, due secondi, contorni vari, panna cotta al caramello salato e vino come se piovesse. Il tutto sarebbe stato condito dai racconti dei dolori immaginari di Rosa subiti durante la preparazione, ma ne valeva la pena.

Al vino avrebbe pensato Sonia: era l’unica a sapere da Rosa i piatti in anticipo per poter così fornire i vini perfetti per gli abbinamenti.

Sommelier prima di fatto e poi di nome, Sonia le medaglie se le era guadagnate sul campo seguendo il padre, noto enologo, in giro per il mondo. Sin da bambina infatti il padre aveva scoperto il “naso assoluto” della figlia, capace di scomporre ogni odore nelle sue note base con una precisione incredibile. Da bambina non assaggiava i vini, era troppo giovane: su richiesta del padre li annusava ed era in grado di dirne tutte le caratteristiche, la provenienza, gli anni, eventuali sofisticazioni e capitava a volte che svelasse alcuni oscuri dettagli di cui neanche il produttore era a conoscenza. 

Arrivata ai diciotto anni aveva smesso di annusare il vino, aveva cominciato a berlo e a crearsi una cantina enorme grazie alla fama raggiunta: i produttori facevano a gara a mandarle bottiglie in cambio delle sue oneste e a volte impietose recensioni.

Vino a parte il suo naso era rimasto negli anni estremamente sensibile a qualunque odore che le si presentasse.

Per questo, non appena Rita era arrivata alla cena con i suoi soliti 25 minuti di ritardo da manager milanese, e si era avvicinata per baciare le amiche, Sonia le aveva chiesto: «Come si chiama questo nuovo uomo che frequenti che usa un profumo con note così dolci da essere quasi stucchevole e con cui, a quanto pare, hai passato le ultime tre ore?» 

Rita, ormai abituata alle uscite di Sonia, senza scomporsi rispose «Attualmente, e non so ancora per quanti giorni, sto con il nuovo personal trainer della nuova palestra che frequento: lui mi ha fatto un programma di allenamento e io ne sto facendo uno a lui, in palestra mi stende ogni volta, a letto lo stendo io! Nella vecchia non potevo più andarci, ormai ero stata con tutti...» e tutte a ridere perché sapevano che non stava mentendo, anzi… solitamente le sue relazioni duravano dalle due settimane ai tre mesi, perché nessuno riusciva a stare al suo passo per più di quel periodo.

Rita era incredibile sia nelle relazioni che sul lavoro ma con esiti diversi: nell'intimità gli uomini scappavano, sul lavoro era ricercata da tutti per le sue capacità di saltare fuori da ogni problema, tant'è che se le chiedevano che cosa facesse di lavoro, lei prima provava a spiegare con enormi giri di parole il fatto che non avesse una competenza specifica, ma solo doti empatiche e comunicative, poi dopo qualche minuto e molti «non ho capito» diceva: «hai presente Harvey Keitel in Pulp Fiction? Io sono come il signor Wolf, risolvo problemi. Però guido una panda a metano visto che non voglio inquinare e ci metto almeno due ore ad attraversare la città.»

L’odore di cibo aveva riempito tutta la casa con profumi indescrivibili e Catherine, ormai completamente in pace con tutte e tre, era pronta per la battaglia: finire il pasto senza lasciare nulla, cosa di per sé piuttosto semplice visto l’elevato livello dei piatti, ma nel contempo non perdere una sola parola delle sue tre stronze preferite, aveva un mese di chiacchiere da recuperare e non stava più nella pelle.

E guerra sia!

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