| Tempo di Lettura 9' | Autrice Sara | Da bere Gin Lemon |
Foto di Fringer Cat su Unsplash

Ho paura. Temo di dimenticare tutto.

Ho ripetuto il testo diecimila volte, ma ora non so più niente.

Sì certo, a casa è tutto più facile. Come dicono nei quiz televisivi “Da casa è più facile”.

Eh, grazie tante. Da casa le sai tutte, otto volte su dieci la parola la indovini. 

Dal mio monolocale, io so tutto. Dal mio monolocale scelto con cura eh, c’ho messo dieci mesi a trovarlo. Un monolocale, e pensa se avessi dovuto cercare una villa!

Come lo volevo? All’inizio non lo sapevo nemmeno io. Cioè un’idea immaginaria ce l’avevo, immaginaria. Che poi boh, uno immagina sempre ma alla fine ‘ste case sembrano assomigliarsi tutte. Prima di vederle nell’immaginario funziona tutto, come nei quiz televisivi: nell’immaginario è più facile.

Poi un giorno sono entrata in questa, e l’ho sentita. Era lei. È stato come indossare un paio di jeans che ti sta una favola, cosa che capita rare volte. E questo monolocale sembrava fatto apposta per me.

È in questa casetta che ho iniziato a pensare, a vederlo.

Una volta trovato il mio paio di jeans sono andata in giro diversamente. Più sicura, più leggera. Libera. 

Ogni sera, per un mese, sono uscita. Tutte le sere. Ho scelto sempre lo stesso bar e lì ho passato le mie serate. 

Perché? Per scoprire cosa succede ogni sera nello stesso locale. Si beve direte voi, e si mangia, aggiungerete. Sì, certo. Ma io ogni sera avevo un obiettivo: sedermi a un tavolo con degli sconosciuti e passare la serata insieme.

Perché? Perché non l’avrei mai fatto prima.

Perché non l’avresti mai fatto prima? Perché mi vergognavo.

Perché ti vergognavi? Perché di solito non ci si siede a un tavolo di sconosciuti.

Perché non ci si siede a un tavolo di sconosciuti? Perché si sta con chi si conosce.

Perché si sta con chi si conosce? Perché si sta bene, è più semplice, si fa così.

Perché si fa così? Perché la vita funziona che tu conosci delle persone e al bar, se vai, ci vai con loro.

Ci vai con loro oppure non ci vai.

Vabbè comunque oggi non so qui per rispondere alle vostre domande.

Ho ripetuto il testo diecimila volte e ora non so più niente.

Una sera, una sera della terza settimana, un mercoledì. Sì, era un mercoledì, verso le 22, mi sono seduta a un tavolo dove c’era una donna. All’inizio mi ha guardato stranita, pensava mi fossi sbagliata. È lo sguardo che fanno tutti ogni volta che mi siedo. C’è chi mi guarda con imbarazzo, chi con disagio e altri ancora con un leggero fastidio. Pensano che mi sia sbagliata. Come quando partecipi a un quiz televisivo e al gioco finale sbagli la parola anche se da casa la sapevi. A casa le sai tutte.

Le dico di no, che non mi sono sbagliata e che ho solo voglia di bere qualcosa con lei perché mi piacciono i suoi capelli. Sono castani ma con delle sfumature verdi. Sorride, e sorrido anche io. 

Anche questo fa parte del piano, dire le cose senza pensarci troppo. E allora se mi piacciono i tuoi capelli ti dirò che mi sono seduta al tavolo per questo, senza cercare altre argomentazioni più profonde.

Ordiniamo qualcosa da bere e lei inizia a parlare. Moltissimo. Sembra che non abbia mai parlato con nessuno. Forse è così o forse ha solo bisogno di qualcuno che l’ascolti e questa cosa che una sconosciuta si sia seduta al tavolo con lei deve averla incentivata.

Ha una strana luce negli occhi, mi parla ma è come se stesse parlando a qualcun altro. Mi racconta del suo lavoro, è una commissaria di polizia. 

Wow, le dico. Insomma, non è così tanto wow e mi spiega il perché. La sera viene in questo bar proprio per dimenticare perché non è così wow. 

Quindi è una cliente abituale però gli altri giorni non l’avevo vista ma mi dice che questa è finalmente la prima sera che riesce a venire dopo aver chiuso un caso che le avevano affidato.

Non doveva essere sola stasera, doveva venire con lui. Chi? Un uomo di cui si è innamorata. E perché non arriva, le chiedo. Perché l’hanno ucciso, era il caso che doveva risolvere.

Si sono conosciuti in questo bar, ci venivano sempre da soli. Quando avevano voglia di non pensare, sceglievano questo posto. Per lei è come il bar di Grey’s Anatomy.

«Hai presente? Ogni sera finiscono il turno e se non vanno direttamente a casa a scopare, perché lì scopano sempre, spesso anche in ospedale, dove la trovano la forza dopo dodici ore di lavoro non si sa ma scopano, comunque vanno sempre in quel bar.»

«Ahhhh sìììì è vero! Anche a me piace un sacco! Poi vabbè, là incontrano sempre dei fregni qua invece non ne ho visti molti…»

«Già…»

«La vita in Grey’s Anatomy è più bella!»

«Sì, al bar forse, in ospedale non so. Comunque vengo qua perché sto bene, non devo pensare.»

Lei viene qui per non pensare, io invece ho scelto questo bar per scoprire. Osservare. Ogni giorno, nello stesso posto, persone diverse si trovano nello stesso luogo per ragioni diverse. In apparenza sembra che vengano qui per lo stesso motivo eppure non è così. 

Non mi chiedete perché? Ora se volete potete farmi delle domande.

Ho ripetuto il testo diecimila volte e adesso finalmente mi ricordo perché l’ho scritto e sono qui.

Quando ho raccontato ad Anna del mio lavoro anche lei ha detto wow. 

Arrivo sul palco, non riesco a vedere quanta gente è venuta. Me ne rendo conto sempre alla fine, però vedo Anna. Mi sorride, è in prima fila.

Ho scritto questo spettacolo per lei, per me e per voi. Sul palcoscenico c’è un bar, dovrebbe assomigliare a quello che ho frequentato per un mese. Un po’ lo ricorda, credo. Uno se li immagina sempre diversi i bar ma alla fine si somigliano sempre un po’ tutti.

Inizio.

Comincio.

Mi siedo a un tavolo, ho i capelli colorati di verde e lui sta per entrare. È un pezzo di fregno, come uno di quelli che ci sono in Grey’s Anatomy.

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