“Enjoy the moment!”… era il 2006 quando questa espressione mi si è attaccata addosso.
Ero in Norvegia in Erasums, una delle esperienze più con la E maiuscola che io abbia mai fatto.
Non è che ci sono aggettivi per certe cose: ci sono esperienze che sono tue e basta, senza aggettivi. Tipo il vostro primo bacio… mica ha aggettivi quella cosa li, no? Ecco non lo so perché allora, a 23 anni suonati, io mica sapevo cos’era “il primo bacio”... sempre stato un Don Giovanni io.
Ma torniamo a “Enjoy the moment!”, nacque in Norvegia, era da poco passata Pasqua e questo sarà importante.
La Norvegia è giusto un filo cara sull'alcol: tipo che nei supermercati i superalcolici sono venduti in bottiglie con dentro metà del contenuto. Perché? Perché quello è solo il concentrato del super alcolico, tu compri a parte l’alcol, lo metti dentro, agiti e hai il tuo superalcolico. Se vendessero tutta la bottiglia costerebbe tipo 80€ e comunque, per legge, neppure possono.
Ecco in un clima così da proibizionismo si capisce che per studenti universitari la vita da “ubriachiamoci” era un pelo sacrificata, ma poi venne Pasqua e dopo il torneo di calcio… e mai scelta fu più 'na cazzata epocale! Ma andiamo con ordine.
Sfruttando il ponte di Pasqua tutti eravamo tornati a casa per rivedere le famiglie dopo 4 mesi. Senza dircelo, ma con un’organizzazione che Facebook scansate (a quei tempi non c’era ancora in Europa… sembra che stia parlando del ventennio fascista) dicevo se si doveva andare a casa invece di stare lì, almeno si sarebbe tornati con dell’alcol dei rispettivi paesi d’origine.
Ecco questo pensiero lo abbiamo avuto non più o meno tutti, ma proprio TUTTI: grappa, ukzo, unicum, vodka, calimocio, Rakata, unoto, romaso, maresko… sono solo alcuni dei nomi che ricordo (temo che sulla metà io abbia ricordi piuttosto sfuocati): ognuno portò con sé una bottiglia.
Facemmo ovviamente subito una festa a casa nostra che era la casa degli Erasmus.
Ognuno che entrava portava una o due bottiglie del suo superalcolico locale e, con orgoglio, te lo decantava e ci rimaneva male se non lo bevevi. Io, da buon padrone di casa, non mi tirai mai indietro.
Abituati a bere solo birra per 4 mesi, quella sera fu la nostra sera e ce la godemmo tutta (cit. Sleepers).
Come finì? A schifio ovviamente! Io ho vaghi ricordi di quella serata e da un certo punto in avanti ho un vuoto cosmico… e in quel vuoto cosmico Daniel, il mio coinquilino di Singapore ebbe la geniale idea di infilarci uno scherzo: mi convinse che a metà serata ero sparito e mi ero chiuso in camera con Isabel che, a dispetto del nome che pare quasi elfico, era una giocatrice di Hockey su ghiaccio francese: altezza 1,50cm, peso 150Kg… un fiorellino.
La merda (Daniel) non solo convinse me, ma tirò dentro lo scherzo anche Rena e Christoph i miei due coinquilini che ovviamente non si fecero sfuggire il piano diabolico e mi convinsero che l’avevamo fatto (ok come prima volta poteva essere più romantica, tipo ricordarmene?) senza preservativo (e qui “l’occazzo” è d’obbligo)…
Lo scherzo durò un giorno e nel pomeriggio di quel giorno ci fu il torneo di calcio di cui sopra (a volte il destino ci si incaponisce).
Noi ci eravamo iscritti al torneo per goliardia sapendo che, sconquassati come eravamo, figurarsi se avremmo fatto qualcosa. Questo era il pensiero prima di iscriverci, ora tutti ubriachi e rincoglioniti già presentarsi in campo in 7 ci pareva un risultato a suo modo onorevole.
Ora, per velocizzare il racconto, non so come arrivammo in finale, perché sì, noi arrivammo in finale. Davvero non so quante partite abbiamo giocato e come diavolo abbiamo fatto a passarle, sta di fatto che alle 16:30 si giocava la finale e noi eravamo in campo.
La squadra era così costituita:
Daniel in porta: messo lì solo perché, essendo di Singapore e avendo fatto arti marziali era quello più scattante di riflessi. Per la serie: ruoli a caso.
In difesa c’era Renaki, ovvero Rena la mia coinquilina greca alta un metro e venti centimetri e infatti aggiungere “ki” ai nomi in greco è un diminutivo… da cui Renaki. A discapito di questo diminutivo Rena aveva giocato tutte le partite con: sigaretta in bocca, bottiglia di Jack Daniel in una mano e più che giocare pareva un allenatore in campo: stava ferma al centro della difesa e ci incitava sul pressing e sul recupero della posizione… tutto questo ovviamente in greco. Io ricordo solo “Paltò” insulto greco che vuol dire “giacca” ovvero “sei utile come una giacca su un appendiabiti”. Ricevetti svariati “Paltò” da Rena a cui rispondevo, ovviamente in italiano, “cazzo Renaki e corri un po' anche tu” lei mi guardava, sorrideva e beveva un sorso di Jack alla mia. E io, mio malgrado, non potevo fare altro che sorridere e bermi un goccio con lei quando l’azione era in attacco.
Sulla fascia di destra c’era Chirstoph detto “Nice Nice” perché qualsiasi cosa che gli succedeva nella vita lui sorrideva e diceva “Nice Nice”. Immancabilmente si faceva saltare dall'attaccante di turno e io mi trovavo a difendere da solo, dato che Renaki difendeva più la sua bottiglia di Jack che la porta, al che gli gridavo dietro di far qualcosa, qualsiasi cosa, e lui rispondeva sempre “Nice Nice” e io un po' mi incazzavo e molto sorridevo alla sua calma olimpica e inattaccabile che segretamente invidiavo.
L’altra fascia era presidiata da Stuart, inglese, che al momento dell’iscrizione aveva detto “si io sono fortissimo a calcio: ho giocato a pallamano per 10 anni” “ok Stuart ma sai che a calcio, ecco, toccare la palla con le mani è giusto un filo contro le regole.” “Davvero?” “Beh sì… ma magari non se ne accorge nessuno! A parte questo, uguali come sport sereno!” lui era sereno, io un poco meno.
Infine c’era Daniele, detto Danieli perché qualcuno aveva storpiato il suo nome il primo giorno e Danieli gli si era attaccato addosso. Danieli era l’unico che ci capisse qualcosa di calcio tra tutti noi per fortuna. Infatti credo che, se eravamo in finale, era solo merito suo.
In ultimo c’era Eduard: scozzese. Anzi per la verità era di Cipro, ma si era così preso bene per la Scozia che ci era andato a vivere, aveva cercato e scoperto un lontano parente che veniva da lì e da quel momento andava in giro solo in kilt della sua casata e scarponi. Anche ora, sul campo da gioco, era così: kilt e scarponi. Che se il primo era scelta sua… sul secondo, giocare a calcio con gli scarponi, non era proprio sta ideona geniale Eduard. Ma era troppo bello vederlo giocare così!
Ah poi c’ero io ancora un bel po' bevuto e con sto pensiero in testa “ma avrò fatto davvero l’amore senza preservativo” per la serie: focalizzato sulla partita.
Il primo tempo passò circa indenne, cioè non subimmo goal e questo era già un risultato. I norvegesi attaccavano da ogni lato e noi provavamo a difendere in qualche modo, il tifo era tutto per noi però: c’era un po' nell'aria questa idea di “under dog” che ha sempre il suo fascino romantico.
Il secondo tempo non iniziò in maniera diversa dal primo: i norvegesi attaccavano e noi ci difendevamo disordinatamente.
A un certo punto parte un contropiede norvegese, io sono l’unico difensore dato che tutta la squadra era in attacco e figurarsi se tornavano a difendere: l’attaccante arriva e mi punta convinto, se salta me è da solo davanti alla porta: fa una finta e non ci casco, fa un’altra finta qui ci sarei cascato, ma ero stanco e sto fermo e mi arriva la palla tra i piedi: senza pensarci spazzo via per evitare che arrivino altri attaccanti. Il mio tiro fatto a caso diventa un lungo rilancio per Eduard che si trova a limite dell’aria e dà un calcione alla palla (non mi sento di dire che ha tirato in porta) e, non si sa come, la palla parte diritta e sicura, colpisce la parte interna del palo e segna! Uno a zero per noi… da non credere!
Se la partita era stata un attacco costante dei norvegesi contro di noi, gli ultimi 10 minuti furono un assedio totale. Gli avversari, incazzati per essere in svantaggio in una partita che potevano tranquillamente vincere, attaccavano con rabbia. Io e Danieli, gli unici italiani in campo, sentivamo la tensione nell'aria e correvamo come pazzi a destra e sinistra… i nostri compagni pareva che non capissero l’importanza del momento e sereni trotterellavano in campo bevendo Jack Daniel, commentando “Nice Nice” a ogni intervento indifferentemente nostro o degli avversari e facendo il minimo sindacale per difendere il risultato.
In questa situazione di tensione crescente, mi giro e vedo Isabel che, a bordo campo, mi saluta felice… i pensieri di paternità diventano un pelo insistenti e, genialmente, decido di sfogarli tutti quanti sulla tibia dell’attaccante che è entrato in area! Fischio e rigore… cazzo!
Mi giro sconsolato verso i miei compagni sentendomi in colpa, da lontano vedo che arriva Eduard di gran carriera e io penso “Mo mi tira un culo: lui ha segnato e ho vanificato tutto” e invece lui corre e continua a gridare “ENJOY THE MOMENT!!!”
E io penso: ma che cazzo c’hai da enjoiare il moment sto qua moment: per miracolo siamo in finale, per doppio miracolo eravamo pure in vantaggio, mo per colpa mia 'sti stronzi di norvegesi pareggiano e c’è pure caso che a breve divento papà… ma mi dici che cazzo c’è da enjoiare?!
Ora non so se Eduard leggesse i miei pensieri o fosse solo molto ubriaco o tutti e due, ma mi disse solo: “Giona: it is not now, now is the moment: ENJOY THE MOMENT!!”
E lì ho pensato che c’aveva ragione lui.
Fatti attuali: eravamo in finale, eravamo in vantaggio, mancavano due minuti alla fine, ero coi miei amici, mi stavo divertendo, era incredibile essere lì.
Seghe mentali: forse segnavano il rigore, forse sarei diventato padre.
Ecco già, i più erano più dei meno e i più erano, i meno forse lo sarebbero stati… e allora: massì cazzosene enjoiamoci sto momento.
E me lo godetti: mi ricordo il vento sulla pelle sudata, l’aria piena di terra alzata dalla partita, il silenzio denso e carico prima del calcio di rigore, il fischio secco dell’arbitro, l’attesa senza sforzi del tiro.
Mi godetti quel momento.
E poi?
Daniel parò il rigore.
Il momento era quello.
Il momento è quello in cui si è.
Bisogna solo ricordarsi di “enjoiarlo”.
Ah e Isabel?
…beh non era incinta, anche perché non avevamo fatto nulla.
Per dovere di cronaca dopo la partita mi dissero dello scherzo. La sera ne parlai con Isabel al pub, lei rise, mi chiese se avessi mai baciato una ragazza francese e alla mia risposta “no (neppure italiana, ma questo ebbi la decenza di non dirlo)” ci baciammo appassionatamente.
Dopo un poco si distaccò, uscì dal locale serena, si appoggiò alla vetrina del pub e vomitò le tre birre che si era bevuta. Poi tornò dentro e volle ribaciarmi… ma anche no dai.
Come primo bacio non c’è male… non sarà romantico, ma a suo modo è indimenticabile!
Enjoy the moment (quam minimum credula postero)
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