| Tempo di Lettura 10' | Autrice Sara | Da bere Cuba Libre |
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Elena si sveglia, ma non si alza. Vorrebbe restare ancora un altro po’ a dormire, dimenticarsi di esistere e invece la vita le ricorda che deve lavorare, altrimenti come lo paga l’affitto questo mese? E la vacanza a Barcellona?

Di lavoro fa la postina, ogni giorno consegna la posta in scooter a Milano. Non esattamente per tutta Milano, dipende dal quartiere che le affidano quel giorno, e questa decisione cambia a seconda degli obiettivi fissati dal team leader.

Ormai conosce la città a menadito.

Ho scritto seriamente a menadito? Sì.

Non vive da tanto tempo a Milano, saranno circa due anni ed è grata a questo lavoro per una sola ragione. Anzi, due. La prima è che le permette di pagarsi l’affitto di una stanza, nemmeno di un appartamento, di una stanza. Perché questa città costa quanto un ristorante stellato che non ti riempie la pancia, ti solletica solo l’appetito lasciandoti con una voragine nello stomaco. Difatti spesso salta il pranzo o si arrangia con un panino. Dalle ultime analisi del sangue risulta che non ha alti valori nutritivi, ma che sta bene e quindi non si è mai preoccupata tantissimo della sua alimentazione. E poi in questa città non c’è tempo, mai. Non riesce a trovarlo, a procurarselo, non si ricorda più cosa sia. Il tempo è diventato ormai soltanto il ritmo delle consegne, un ritornello di “Salve signora, c’è posta. Mi apre?”, il suono delle notifiche sul tablet che le confermano la consegna effettuata o il nuovo indirizzo da raggiungere. Fine del turno, torna a casa stravolta e dorme.

La seconda ragione non se la ricorda più. Se l’è dimenticata, perché questa città ti fa scordare anche chi sei, ti fa sentire una raccolta punti della spesa, e quanti ce ne mancano ancora per avere quella borsa termica in offerta. Che poi non lo sa che cosa se ne farebbe di quella borsa termica, ma per il solo fatto di poterla avere gratis sta raccogliendo i punti. 

Elena è arrivata al Nord piena di speranza da un paesino del Centro Italia, dall’Abruzzo, uno di quelli che quando lo nomini la gente ti sorride con imbarazzo perché non ha la minima idea di dove sia, perché la maggior parte della gente il Centro Italia se l’è dimenticato come lei si è dimenticata del tempo a Milano. Sarà una sorta di questione karmica in base alla quale ognuno ha le sue dimenticanze.

Per lei il tempo, per gli altri il Centro Italia.

Elena si sveglia, ma non si alza. Vorrebbe restare ancora un altro po’ a dormire, dimenticarsi di esistere e all’improvviso si ricorda perché è salita su a Milano. Per frequentare l’accademia di Belle Arti, il suo sogno da bambina, da quando ancora disegnava il cielo come una striscia blu, limitata e precisa. E lei l’accademia la starebbe anche frequentando, ma è riuscita a dare solo 5 esami in due anni, non riesce a frequentare tutti i corsi a causa del lavoro e quindi ha parcheggiato momentaneamente l’accademia come parcheggia spesso lo scooter per la consegna della posta, sul marciapiede. Ha depositato sul marciapiede il suo sogno come quelli che lasciano i materassi o i divani per il ritiro. Cose comode, che magari qualcuno nel frattempo ci si lascia andare sopra. Ma in genere no, perché la gente non si fida a toccare le cose depositate per strada.

E lei non si fida più del suo sogno.

«Ele ti va di andare a fare colazione al bar?» le domanda Claudio, uno dei tre coinquilini, sbattendo senza troppo cura la porta della sua stanza mentre lei ancora sta decidendo se ha la forza di alzarsi.

«Va bene.»

«Però non farmi aspettare troppo!»

«Va bene.»

«Non sai dire altro che va bene?»

«Va bene.»

«Ho capito, ti do 20 minuti per prepararti. Va bene, l’ho detto io per te.»

«Va bene.»

Trenta minuti dopo sono seduti al tavolino di un bar, uno di quelli con la vetrina che affaccia sul marciapiede dove sono finiti i sogni di Elena, il divano e il materasso di uno sconosciuto.

Claudio in realtà le ha chiesto di andare al bar perché è preoccupato per lei e siccome in quella casa c’è sempre casino per parlare in intimità ha preferito farlo fuori. 

«Senti Ele, dimmi la verità, come stai?»

«In che senso?»

«Non lo so, ma è da un po’ di tempo che ti vedo diversa. Quando sei arrivata qua eri un’altra persona, energica, con voglia di fare, contenta. Quasi mi dava fastidio il tuo ottimismo perché mi sembrava insensato, ma ora? Ora ti sei spenta e mi dispiace.»

«Ma sto bene Claudio, sono solo stanca, molto. Non faccio che lavorare e quando arrivo la sera a casa mi sento sfinita.»

«Lo so, anche io… però mi spaventa che anche nei giorni di riposo, quando potresti, non vuoi uscire di casa e te ne stai tutto il giorno buttata sul letto a guardare serie tv o a dormire.»

«Claudio non voglio suicidarmi, giuro. Te lo direi, nel senso ti lascerei un biglietto dei saluti se lo faccio.»

«Che stupida!»

«La verità è che sto pensando di tornare a casa.»

«Ma come? Non ci hanno ancora portato la colazione!»

«Ma no, non a casa qui. A casa mia, a Scanno!»

«Scanno?? »

«Sì Scanno, il mio paese.»

«Ah scusami, non mi ricordavo il nome.»

«Tranquillo.»

«Ma dov’è precisamente?»

«Claudio, sono dell’Abruzzo. Ricordi? Quella Regione del Centro Italia, dove sta l’Aquila, terremoto, 2009, abbiamo anche il mare sì, e la montagna, molto bello, abbiamo tutto sì, ma lavoro poco, e gli arrosticini buonissimi.»

«Ma stai parlando da sola?»

«No, con voi milanesi che mi chiedete e dite sempre le stesse cose, e quindi anticipavo il dialogo.»

«Comunque, perché vuoi tornare a Scanno? »

«Perché qui non ho più niente da fare.»

«Ma come? E l’Accademia?»

«Non fa per me.»

«Ma non era il tuo sogno? E poi lì, a Scano, cosa farai?»

«Scan-no. Non lo so Claudio, non so più niente, so solo che voglio tornare a casa mia e ricordarmi che senso ha il tempo, viverlo, e non dover correre da una parte all’altra, per poi cosa? Per guadagnare uno stipendio che consumo tutto per pagarmi una stanza, e poi voglio uscire la sera e andare al mio pub. »

«Al tuo pub? Ma qua abbiamo 10.000 pub!!! Sei nella città più cool d’Italia!»

«Appunto, io voglio il MIO pub, che non conosce nessuno. La mia casa. La mia vita. Una sola, non mi interessa più questa offerta illimitata, ogni volta è come andare su Netflix e impiegarci mezz'ora per decidere cosa vedere e poi cosa faccio alla fine? Faccio un’altra ricerca, ma su Google, per capire che cosa posso guardare, che caspita mi consiglia gente sconosciuta che a sua volta si sarà fatta la stessa domanda e ad un certo punto si è detta che questa cosa andava risolta. Qui mi sento così, in una costante ricerca e sono stanca. Voglio tornare a poter scegliere tra poche cose, con semplicità. La mia vita qui ha perso il controllo e lascio a Google decidere che farne.»

«Per me stai avendo un crollo nervoso…»

«Dimmi l’ultima volta che hai scelto tu qualcosa senza andare a cercare in un fottutissimo motore di ricerca!»

«Non lo so, no aspetta ce l’ho! Questo bar, non sono mica andato su internet, l’ho visto camminando e mi aveva colpito.»

«Ecco, vedi. Io voglio tornare a questo, alle cose che mi arrivano senza che io prima faccia mille ricerche, legga mille recensioni e ascolti tremila consigli. Voglio tornare al mio pub, l’unico e sconosciuto.»

«Ho capito. Potrò venire a trovarti?»

«Sì, ma mi sa che devi cercare prima su Google Maps dov’è Scanno!»

«Posso?»

«Non vedo alternative…»

«Mi porterai al tuo Pub?»

«Sì, basta che poi non pubblichi le storie su IG mettendo dove siamo!»

«Ok, la gente non deve sapere.»

«Google in primis.»

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