Oggi glielo dico. Devo dirglielo che non ce la faccio, che non lo voglio.
Questo figlio o figlia, non posso tenerlo. Non sono pronta e forse non lo sarò mai, ma sicuro non lo sono ora. Io non ce la faccio a diventare mamma. Non me la sento di prendermi questa responsabilità, di occuparmi di un altro essere umano. Non posso, anzi, non è che non posso, o forse anche, come faccio a saperlo, è che proprio non voglio.
Non è che tutte, superati i 30 anni, o anche prima, sentano l’urgenza di figliare. Si può dire figliare?
Che poi sento che sarei anche una brava mamma, devo essere onesta. Sarei una di quelle mamme che fa discorsi un po’ alternativi, una di quelle che mette il preservativo nella borsa di lei, e nel jeans di lui, parlerei loro di educazione sessuale, dei libri, li riempirei di libri fin da subito. E poi ogni tanto chiederei a mia figlia, sì, ho deciso che è femmina, ma anche se fosse maschio, chiederei: “sei felice?”. Ogni tanto glielo chiederei, e lei mi risponderebbe “boh”. Perché noi figli rispondiamo sempre “boh” alle domande dei genitori, oppure proprio non rispondiamo. Sarei una mamma pazzesca.
Forse no, forse sarei una mamma orribile. Forse con il tentativo di essere grandiosa per lei, alla fine sarei un disastro.
Ma il punto non è come io potrei essere e che sostanzialmente non posso decidere o sapere ora, il punto è: perché?
Perché dovrei diventare mamma?
Perché?
Le mamme prima di diventare mamme se la fanno questa domanda? Perché io me la sto facendo. Perché a un certo punto io dovrei dividere la mia vita con un’altra persona di cui dovrei occuparmi sempre. Sempre. Non due o tre giorni a settimana, sempre.
Perché?
Perché non dovrei più dormire la notte, almeno per i primi tre anni, così dicono le colleghe mamme, già mamme.
Perché? Io ho bisogno di dormire, se non dormo sto male. Fisicamente e mentalmente. Non posso privarmi del sonno, diventare quindi una brutta persona, e di conseguenza essere una mamma di merda.
Perché?
Forse non è nemmeno una questione di tempo, perché le mamme già mamme, fanno cose. Non è che smettano di esistere, almeno non tutte. Certo a qualcosa, almeno all'inizio, rinunciano. Forse non si tratta più di rinuncia ma di spostamento delle priorità. Come quando avevo 20 anni e la priorità era uscire una sera sì e l’altra pure, adesso anche no, posso restare a casa e stare ugualmente bene. Forse è questo che succede, si spostano le priorità. E io non le voglio spostare. Se posso decidere, voglio lasciarle così come sono. Inevitabilmente la vita tenterà di mescolarle, ma fino a quando potrò decidere, le rimetterò a posto come desidero.
04 Maggio 2000
Viola entra nel pub, il loro pub, e trova la sua persona preferita al tavolo che, non troppo distante dal bancone, vedendola arrivare si mette a ridere per salutarla, come fa sempre.
«We che hai? Hai una faccia sconvolta!»
«Stavo sistemando delle cose e ho trovato questa.»
«Cos'è?»
«Una lettera, non lo so, un foglio di un diario, credo.»
«Ma di chi?»
«Di mia madre.»
«E cosa dice?»
«Che il 4 maggio del 2000 aveva deciso di abortire!»
«Beh, qualcosa o qualcuno, se ora sei qui deve averle fatto cambiare idea, no?»
«Sì ma, Andrea, questo non cambia il fatto che lei non mi voleva. Se leggi la lettera si capisce chiaramente, lo dice apertamente, era determinata, convinta!»
«Posso leggerla?»
Mentre Andrea legge attentamente la lettera, Viola raggiunge il bancone per ordinare due fette di torta e un paio di birre fruttate. Nell'attesa ripensa a sua madre, e la raggiungono tutti quei momenti dove le è sembrata sfuggente. Non realmente presente, lei era lì ma allo stesso tempo era come se fosse stata da un’altra parte. Ed è vero che sarebbe stata una madre pazzesca come scriveva quel giorno del 2000. Quando andava a scuola e invitava qualche amica a casa, tutte si innamoravano di sua madre perché era diversa dalle loro. Allegra, divertente, brillante e si faceva rispettare senza essere autoritaria. Non era così solo quando c’erano le sue amiche, ma sempre. Ancora oggi, a volte, le sembra che Andrea venga a casa sua solo per parlare con sua madre. Si è sempre sentita amata da lei, per questo quella lettera la sconvolge tanto. Non ha mai avuto il pensiero di essere una figlia non desiderata. Ma ora, mentre ritorna al tavolo con le due birre, per le torte ci penserà Dario, uno dei baristi, capisce che c’è qualcosa che non sa, ma che forse non era importante sapere.
Andrea ha finito di leggere, alza lo sguardo su di lei e dà voce ai suoi pensieri.
«Che tipa!»
«Tutto qua?»
«Sì, nel senso, è tua madre. È come la conosco: imprevedibile e inafferrabile. Sai cosa?»
«Cosa?»
«Mi sembra un racconto da podcast!»
«Ma sei fissata con ‘sti podcast!»
«Sarebbe pazzesco, ho già il titolo: “La scelta di Serena”.»
«Figo, mi piace!»
«Hai la storia tra le mani, non c’è bisogno di andarla a cercare fuori.»
«Chissà cosa le ha fatto cambiare idea…»
«Tuo padre?»
«Non lo so, non credo. Si sono lasciati quando avevo un anno!»
«Però magari prima andava tutto bene e lui l’ha convinta che avrebbero costruito qualcosa di grande!»
«Non lo so e non lo sapremo mai.»
«Come no? Dobbiamo fare il podcast: parla con tua madre!»
«Magari non ne vuole parlare.»
«Ma se ti parla pure dell’orgasmo clitorideo!»
«Vabbè, ma sai com'è fatta, è open mind.»
«Appunto!»
«Comunque, “La scelta di Serena” mi piace.»
«Anche a me, l’ho scelto io!»
«Ma tu vorresti diventare madre?»
«Non credo proprio. Ma tu sei la prova vivente che tutto può cambiare.»
«Vero.»
«Ora ce l’ho io una domanda per te…»
«Vai!»
«Sei felice?»
«Boh.»
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