| Tempo di Lettura 11,5' | Autrice Sara | Da bere Campari Spritz |
Foto di Rinck Content Studio su Unsplash

Oggi mi sono organizzato con Paolo per andare a lavorare in un bar, anzi non in un bar, al mio bar. Entrambi lavoriamo da casa da 3 anni, ma facciamo lavori diversi. Io sono un web designer e lui correttore di bozze. Ci siamo conosciuti circa 15 anni fa grazie a un nostro amico in comune con cui ogni tanto andiamo a giocare a calcetto.

Arrivo per primo e prendo posto a un tavolo rotondo, così abbiamo sufficiente spazio per lavorare con comodità. Questo bar mette armonia, luminoso quanto basta, piante sparse un po’ in giro, scaffali pieni di libri e hanno anche un paio di divani. In genere vengo a lavorare qui da solo, ma ormai sono di casa, e quindi è come se non fossi mai davvero solo.

Questa volta l’ho chiesto anche a Paolo, perché non sta attraversando un periodo roseo della sua vita e temo che, tra una correzione e l’altra, si lasci travolgere da pensieri negativi e qualche bicchiere di vodka. Certo, farlo lavorare qui al bar non lo allontanerebbe dall'alcol, ma è più facile che si prenda un cappuccino e una brioche vegana. 

Eccolo, lo vedo entrare. Si guarda in giro per capire dove sono e nel mentre lancia sguardi curiosi a due donne intente a fare colazione. Tra i due è Paolo quello che ci sa fare con le donne, se per caso ve lo steste chiedendo. Io non ho mai capito come approcciarmi e poi in genere non ci provo mai. Di solito succede questo: conosco una donna, parliamo molto e quindi si diventa amici. Lei inizia a raccontarmi della sua vita, io della mia, fino a quando lei non dice che mi vuole bene e che è una fortuna avere un amico come me, che l’ascolta, che non ci prova, che la capisce, che condivide anche gli stessi interessi, con cui fare cose che nemmeno con le sue amiche riesce a fare perché sono sempre impegnate, o disinteressate, allora anche io le dico che è stupendo avere questo rapporto così profondo e autentico, che non ho mai incontrato una donna con cui parlare così tanto e che, mi fermo, perché lei inizia a raccontarmi di un tizio conosciuto in vacanza. Fine, breve storia triste.

Paolo invece è un’altra cosa, lui tutti 'sti step non li attraversa e credo sia per questo che ce la fa sempre o quasi. Adotta un sistema binario: finirci a letto o non finirci a letto. Semplice, poco contorto ed efficace.

Finalmente mi ha visto, alza la mano per salutarmi e mi raggiunge.

«Oh, hai visto quelle due?»

«Sì, le ho viste.»

«Belle eh?»

«Non male. Pa’ ascolta, siamo qui per lavorare e loro per fare colazione. Sistemati e cominciamo, nel frattempo ci facciamo portare brioche e cappuccino, ok?»

«Ok ok.»

Si è convinto, tira fuori gli attrezzi da lavoro e dimentica le due tipe. Quello che adoro di Paolo è che basta poco con lui, per qualsiasi cosa. È quell'amico con cui non ho bisogno di preamboli, forse proprio per il suo sistema binario di approccio alla vita, so che con lui non devo tergiversare, posso evitare gli antipasti e andare dritto al primo e chiedergli cose come: mi presti la macchina? Lui non mi chiede per quale motivo, mi risponde semplicemente sì o no. 

Non come con Teo, il nostro amico in comune, quello delle partite di calcetto. Se chiedo una cosa a Teo, devo prima prepararlo emotivamente perché vive costantemente nell'ansia e quindi se ho bisogno di qualcosa, devo prima far stare bene lui e poi mettere sul tavolo la mia richiesta iniziando da un antipasto di salumi e formaggi.

D'altronde è per questo che sono qui con Paolo e non con Teo. Altrimenti mi toccava prima rassicurarlo sulle postazioni adatte anche per lavorare, sulla presenza di prese elettriche per la batteria, numero di posti auto per parcheggiare o forse meglio arrivare in metro, troppe cose. 

Con Paolo è bastato dirgli:

«Senti Pa’ ti va di venire domani a lavorare con me al “Time-out”?»

«Ok, ci sta.»

«Facciamo colazione, poi si pranza anche da Dio!»

«Ok ok.»

«Fanno un hamburger di ceci che è uno spettacolo!»

«Perfetto.»

«Oh!»

«Eh.»

«Fanno anche una birra artigianale che Woodstock muto!»

«Luca, ti ho già detto sì.»

Semplice, rapido e indolore.

Con Teo sarebbe andata così:

«Ciao Teo? Come stai?»

«Ciao Luca… eh come sto, ma sì dai, si tira avanti… a volte indietro, forse più indietro ora che ci penso, sai?»

«Ti capisco Teo, senti ma…»

«Poi che cazzo di periodo stiamo passando? Prima la pandemia, ora la guerra, la benzina che costa quanto un’aragosta…»

«Cazzo sì, sempre problemi, però ora il prezzo della benzina un po’ sta scendendo dai!»

«Ti ho raccontato di Miranda?»

«No, che è successo?»

«Doveva partire per il Marocco per un viaggio di lavoro, niente, fa il tampone per partire e risulta positiva.»

«No che sfiga!»

«Già, ho dovuto farlo anche io ma fortunatamente sono negativo.»

«Ottimo allora domani potresti venire a lavorare con me al Time-out, che dici?»

«In quel posto dove siamo andati una volta perché dicevi che si beveva una birra artigianale buonissima?»

«Sì, esatto! Dai ci troviamo domani alle 9:00?»

«Non lo so Luca, io ho bisogno delle mie comodità, quante prese ci sono poi, per me si fa fatica…»

La conversazione sarebbe continuata così per un altro quarto d’ora buono dove gli avrei detto che andava benissimo, ci saremmo visti in un’altra occasione, e lui avrebbe continuato a sciorinarmi i motivi per cui era meglio di no.

Invece eccomi qui con Paolo che si è settato nella modalità correttore di bozza davanti al suo Mac, mentre sorseggia il suo cappuccino e scuote la testa per le assurdità che sta leggendo e io mi sento bene. So che a un certo punto parleremo del suo periodo nero, ma non ora, dopo, nel momento opportuno. Perché adesso noi siamo qui per lavorare e tutto il resto passa in secondo piano fino all'ora di pranzo.

Fino a quando non vediamo Teo varcare l’ingresso, e io e Paolo ci guardiamo interdetti per dirci che cazzo ci fa qui?!

Eccolo, ci ha individuato, si agita tutto, le due donne di prima non le nota, è troppo concentrato a capire come raggiungerci senza far cadere sedie al suo passaggio.

Ora è qui davanti a noi e io e Paolo lo guardiamo come si guarda un pappagallo in gabbia in attesa fiduciosa che dica qualcosa.

«Ragazzi alla fine ho pensato di raggiungervi, è stato un cazzo di casino eh, ho parcheggiato a due km da qui, per di più nelle strisce blu, ditemi voi, ma vabbè, quella birra artigianale mi era piaciuta l’altra volta e poi è da tanto che non stiamo un po’ insieme, eh, bene, posso sedermi qui?»

Si siede senza aspettare una nostra conferma e ci guarda.

Ci risvegliamo entrambi da quel momento catartico e iniziamo a parlare, a dirgli che bello che sia qui con noi, che però non possiamo fare troppo rumore perché bisogna lavorare e sia io che Paolo ci rimettiamo al pc ma Teo no, Teo resta inerme, come se si fosse dimenticato qualcosa e all'improvviso ci spiazza.

«Ragazzi non lavoro da sei mesi, mi hanno licenziato. Non vi ho detto nulla prima perché mi vergognavo. Sì lo so che non c’è niente di cui vergognarsi, che non è il lavoro a definirmi come persona, che non è colpa mia, ma è il lavoro che ha sempre occupato tutta la mia vita e ora senza mi sento una persona inutile e mi vergogno. Siete gli unici a saperlo, a parte Miranda, ovvio. Ma oggi ho deciso di venire qui per dirvelo, e voi continuate pure a lavorare eh, fate come se io non ci fossi, mi metto qui a leggere e a mandare cv, e aspetto il pranzo per berci la birra. OK?»

Paolo lo guarda, il suo sistema binario sta contemplando una risposta esaustiva e sufficientemente empatica, ma non è nello stato emotivo più adatto per trovarla e quindi gli dice semplicemente: 

«Certo Teo, ci facciamo una bionda come ai vecchi tempi!».

Io penso solo che non ricordo di aver realmente invitato Teo oggi a venire qui. Che quella conversazione di prima era solo un’ipotesi che vi ho raccontato per farvi capire il tipo. Ma poi capisco, capisco che è stato Paolo, non a invitarlo, ma semplicemente gli avrà detto che mi raggiungeva al Time-out e che non si aspettava nemmeno lui, conoscendo il tipo, di ritrovarselo qui.

Ci guardo da fuori e capisco che abbiamo tutti e tre bisogno di essere a quel tavolo e che sarà una lunga giornata quando all'improvviso mi abbraccia un’intuizione: Teo è venuto perché non deve lavorare, altrimenti quel cagacazzo non sarebbe qui. Tutto ritorna nello schema noto, mi rilasso sulla sedia e ritorno a progettare il sito.

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